Pompei è come Isidora: città della memoria. Ma è sempre più dimenticata.

by | Dic 22, 2011 | Cultura e società | 0 comments

Ancora un crollo a Pompei. L’ultima vittima della lunga serie è un pilastro della Casa di Octavio Quartio nella Regio II della città sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.

Macerie. Polvere e macerie, quello che si vede oggi nel peristilio di una delle domus più celebri di Pompei.

Eppure è passato poco più di un anno dal celebre crollo della Schola Armaturarum. Lì non fu solo un pilastro a cedere sotto la spinta del vento incessante delle ultime 24 ore. Lì andarono in frantumi resti di affresco, oltre che la memoria storica, anzi archeologica, di una vera e propria istituzione della vita romana: la caserma nella quale si addestravano i gladiatori.

Dal dicembre del 2010 ad oggi l’assetto politico e amministrativo che gravita su Pompei è stato rivoluzionato: sono cambiati Ministri, Sottosegretari e Soprintendent, sono state promesse valanghe di denaro dalla UE e dal Ministero per i Beni Culturali, si sono annunciate assunzioni e rivoluzioni nella gestione di uno dei più importanti “documenti” della nostra storia. La Cinquntaquattro, soprintendente speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, appresa la notizia dell’ultimo crollo, ha dichiarato che “Da circa due mesi i nostri uffici hanno avviato un cantiere diffuso in tutta l’area archeologica con fondi della soprintendenza“.

Gli archeologi però a gran voce chiedono ancora che vengano assunti operai per la manutenzione e che venga attuato un vero piano di recupero del sito.

Il web è già insorto alla notizia del nuovo disastro: post-fiume sull’argomento e condivisione di articoli di giornali on line, “L’italia va a pezzi!” dice Marco su Facebook, “E’ uno schifo che si mandi in malora un sito che è una vera e propria miniera d’oro!” pontifica invece Luana dal suo blog. Sacrosante parole, se non fosse però che la sensazione che si respira è che il tutto vada letto e consumato nel giro di un caffè e una sigaretta. Il tutto si riassume, nella canonica abitudine delle polemiche internettiane, in una “sana indignazione”!

pompei_domus_del_moralista

Eppure, a fronte di tale exploit di sdegno, qualche dubbio sulla sincerità di questi sentimenti viene se si controllano i dati sull’affluenza che la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei ha pubblicato relativamente all’ultimo decennio: in linea generale, sui circa 2 milioni di visitatori l’anno, almeno il 60% è costituito da stranieri. Si potrebbe pensare, come fattore deterrente per i potenziali visitatori, il costo del biglietto che, quando non scontato, costa poco più di 10 euro. Certo una somma non piccola. Ma i dati sull’affluenza ci dicono che i tre quarti dei visitatori dell’antico centro romano sono paganti, mentre il restante numero di persone (minori di 18 anni e maggiori di 65, dipendenti ministeriali e studenti o ricercatori universitari di alcune facoltà, condizioni di cui tra l’altro godono tutti i cittadini dell’UE) entra al sito gratuitamente.

E lo stesso dicasi per altri importantissimi enti della cultura partenopea e italiana in genere. Ad esempio nei corridoi del più grande Museo Archeologico d’Italia, quello Nazionale di Napoli, un turista italiano si sentirà frequentemente “straniero in terra patria”, circondato da truppe di visitatori provenienti da ogni dove.

Ma gli italiani che, dalle loro “bacheche”, pontificano sdegnati della mala gestione dei beni culturali del Bel Paese, quanto ci tengono realmente ai quei beni? Perché è così difficile trovarli assorti davanti a un Ercole Farnese o vicino a un affresco di Pompei? Il problema della gestione dei Beni Culturali, dunque, non è solo un mero problema di finanziamenti e risorse. Quello è il sintomo di una malattia più profonda: manca, in questo Paese, una vera e propria cultura storica e artistica del proprio patrimonio, che non viene identificato come sintesi di un trascorso dal quale si deriva. Non esiste alcun tipo di affezione a monumenti, musei e siti archeologici perché non li si riconosce come “propri”. Se chi si occupa di gestione del patrimonio culturale italiano volesse dare una vera svolta allo stato di degrado in cui versano i nostri beni culturali, che ci rendono famosi in tutto il mondo, dovrebbe porsi prima il motivo del “perché” curarli. Non è possibile ridurre Pompei a una gallina dalle uova d’oro, anche perché al momento non lo è e forse mai lo sarà: il rapporto tra finanziamenti statali e introiti dai biglietti pesa spaventosamente sul primo. Ad ogni manovra finanziaria i tagli alla “cultura” sono operati non chirurgicamente ma con il machete e questo accade perché i “beni culturali” in un’ Italia, che non li rispetta e non li ama, sono considerati, purtroppo, non già testimonianze del proprio sentirsi Popolo, quanto piuttosto beni economici, di consumo, che solo accidentalmente tangono l’arte o la storia.

FONTE: laprimapietra.eu

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